Il diritto di gridare
Nadia Anjuman (Herat, Dicembre 1980 – Herat, Novembre 2005) è stata una poetessa afghana, morta per difendere la propria libertà da un marito – peraltro direttore della biblioteca dell’università di Herat – che riteneva una vergogna per tutta la famiglia il fatto che lei scrivesse. Mai come oggi i versi di Nadia sono stati tanto attuali. Ci parlano dei diritti delle donne, della chiusura culturale di parte della società afghana e del grido di aiuto di tutte quelle persone che, in Afghanistan hanno creduto e credono nella possibilità di un mondo diverso e inclusivo.
Nadia Anjuman – Il diritto di gridare
Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
cosa devo piangere, cosa ridere,
cosa morire, cosa vivere?
io, in un angolo della prigione
lutto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’è stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.